di Chiara Vecchio Nepita
In questa estate terribile per gli atti terroristici che hanno portato la paura dentro ai centri commerciali, alle chiese, alle strade della festa e dello shopping, il dibattito pubblico si è concentrato su un argomento leggero quanto un velo: il burkini. Il burkini – oramai lo sanno tutti – è un costume che copre il capo e il corpo, usato dalle donne di fede musulmana. Il caso è scoppiato quando, lo scorso 28 luglio, il comune di Cannes ha emanato un’ordinanza per la sicurezza dell’ordine pubblico che vieta di usare “un abbigliamento da spiaggia che ostenta manifestamente un’appartenenza religiosa, in un momento in cui la Francia e i luoghi di culto sono bersaglio di attacchi terroristici”. Mentre diverse altre municipalità francesi hanno adottato le stesse misure di sicurezza (ultima la città di Nizza, il 20 agosto), in Italia esponenti politici e religiosi tengono la linea del “buon senso”. È noto che il principio di laicità sia diversamente interpretato nel nostro Paese rispetto alla Francia. Nelle scuole francesi è vietato l’hijab quanto il crocefisso, per intenderci. Divieti di questo tipo avrebbero chiare conseguenze anche sui nostri riferimenti simbolici.
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