Pensieri e preghiere di una madre
di Marina Corradi
Alle otto del mattino, sul marciapiede di una scalcinata stazione di autobus alla periferia di Milano, spio con ansia tutti i pullman che si avvicinano: due dei nostri figli tornano da Cracovia, e io non vedo l’ora di riabbracciarli. (Ho avuto, lo ammetto, paura, dopo ciò che era successo a Rouen). E stamattina sono venuta qui con quasi un’ora di anticipo, la prima mamma ad arrivare – la più chioccia, sorrido fra me. Passano i pullman e passano i minuti, guardo l’orologio, finché da un gigante di acciaio grigio, accaldato dalla lunga corsa, spunta il figlio maggiore. Discreta, resto in disparte mentre con i suoi compagni si abbracciano e si fotografano, tutti insieme, ridenti, nell’ultimo saluto… Poi, eccolo, finalmente me lo abbraccio io. Ha la barba lunga, e l’aria di un giovane soldato vittorioso. E la piccola, la piccola, 19 anni, ancora non si vede. Ovviamente ha il cellulare scarico, impossibile comunicare. Guardo interrogativa ogni corriera che avanza per il viale. Le nove, quasi: dovrebbe essere qui. Questione di minuti, mi ridico. Ma di colpo un pensiero come una lama mi atterrisce: pensa, mi dico, alla madre e al padre di quella ragazza che non è tornata. C’era anche lei, felice, alla partenza per la Gmg, lo zaino enorme pieno di giacche a vento e borracce e cerotti, c’era anche lei, e come mia figlia aveva appena dato la maturità.
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