di Alessandro D’Avenia
Se un uomo strangola e brucia la sua fidanzata, perché lo aveva lasciato, non è pazzo, ma lucidissimo: il contrario dell’amore è il controllo, che si mostra con la maschera dell’amore, ma dell’amore non ha l’essenza, cioè il dono di sé perché l’altro abbia vita, ma il contrario: la distruzione dell’altro perché io abbia vita. Molti giornali e commentatori a caldo hanno cominciato a snocciolare la solita litania delle turbe psichiche. Ma qui in gioco non c’è nessuna distorsione della psiche, se non come conseguenza di una distorsione più radicale, perché più profonda: una frattura spirituale.
L’unica cosa reale di questa vita è l’amore, reale perché amando diventiamo reali e facciamo diventare reale ciò che amiamo. Senza amore tutto tende al nulla e alla distruzione. La creazione c’è perché è l’amore di Dio gratuito che si riversa sulle cose, Dante dice nei primi tre versi del Paradiso: “La gloria di colui che tutto move / per l’universo penetra e risplende / in una parte più e meno altrove”, questa penetrazione e illuminazione da dentro di ogni cosa è persona ha gradi, e nelle creature libere dipende dalla volontà di ricevere questo amore. Chi non lo vuole perde realtà, si annulla e annulla chi gli sta attorno. All’estremo opposto del Padre che dà la vita ai suoi figli facendosi cibo per loro, Dante pone all’inferno un padre che mangia la vita dei suoi figli, trasformandoli in cibo, il conte Ugolino. Il cannibalismo di Ugolino ci fa inorridire, ma è quanto facciamo tutti i giorni con i nostri atti di asservimento della vita.
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