di Francesco Lambiasi
Caro direttore, scrivo di getto perché ho una cosa bella da raccontarti, di quelle che si confidano con il “tu”, sottovoce, tra amici. È una storia bella, bellissima, perché autentica, ardente di amicizia, contagiosa di perfetta letizia. È per questo che l’affido a te, perché diventi come una pagina di quel “quinto evangelo” che potranno gustare in molti. Mercoledì scorso, qui a Rimini, mi è morto un prete, don Giuseppe. Quando ho detto prete, ho detto tutto.
Non era un clericale: era proprio un prete–prete. Lo era con tutto se stesso: mite, battagliero, trasparente e innamorato, forte e tenerissimo. Aveva capito che per amare le persone, bisogna imparare a perdere. Per questo voleva bene a tutti, senza mai legare nessuno a sé. Ed era contento. Spesso diceva: «Non saprei immaginarmi diverso da quello che sono».
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