Una pagina “storica”, uno spiraglio che incrina il muro dell’omertà e apre a una ventata d’aria nuova su Bagheria e sulla vicina Palermo. Così magistrati della Direzione distrettuale antimafia e investigatori dell’Arma dei carabinieri valutano l’inchiesta che ha portato all’esecuzione di 22 provvedimenti contro boss e gregari di cosa nostra, 17 dei quali già detenuti per altri reati.
“È il segno che i tempi sono cambiati. Imprenditori e commercianti finalmente si ribellano. È la breccia che ha aperto la strada per assestare un nuovo colpo a Cosa nostra”, osserva il colonnello Salvatore Altavilla, comandante del reparto operativo dei Carabinieri di Palermo, spiegando che “trentasei imprenditori hanno ammesso di avere pagato il pizzo.
Alcuni di loro sono stati sottoposti a vessazioni per anni…”. E in effetti, scorrendo le carte dell’inchiesta (alla quale hanno contribuito anche le dichiarazioni di un pentito, Sergio Flamia) emergono storie di racket iniziate, è il caso di dire, addirittura sul finire del secolo scorso. Come quella di un imprenditore di Bagheria che aveva iniziato a pagare il pizzo negli anni Novanta, quando ancora vigeva la lira.
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