di Luigino Bruni
Su quanto sta veramente accadendo nei mercati e nella borsa di Shanghai sappiamo tutti molto poco. E questa è già una cattiva notizia, perché se c’è qualcosa che preoccupa i mercati – e tutti noi – è proprio la mancanza di trasparenza, che più di ogni cosa produce paura, incertezza, e quindi vendite e fuga di capitali, che hanno prodotto ieri la maggiore perdita dal 2007 (-8,49%), che ha trascinato le borse europee nel peggior crollo dal 2011. Qualcosa, però, lo sappiamo.
Il mercato finanziario cinese è senza dubbi cresciuto troppo e troppo velocemente negli ultimissimi anni, e proprio mentre rallentava la crescita dell’economia reale e della manifattura. E soprattutto sappiamo dell’intreccio, misterioso e unico nella storia, di capitalismo e controllo statale del colosso asiatico. Nel giro di pochi anni l’economia cinese ha subito una radicale evoluzione. Da paese della cuccagna degli imprenditori occidentali che delocalizzavano le industrie attratti dal bassissimo costo del lavoro, la Cina oggi è uno dei principali mercati mondiali di consumo, anche di beni di lusso (non a caso i titoli italiani che sprofondano a Milano sono quelli dell’alta moda). Il settore finanziario ha subito una crescita esponenziale, anche grazie alla svolta normativa, avvenuta nell’Ottobre del 2014, che ha aperto il mercato borsistico agli investitori internazionali, trasformando così le borse cinesi da piazze periferiche a secondo mercato al mondo (dietro solo a Wall Street). E quando la finanza cresce a tassi molto elevati mentre l’economia reale rallenta, certamente si sta formando una bolla speculativa che, ce lo dice la storia economica, prima o poi scoppia.
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Salteranno assieme agli altri. Mercato globale, bolle globali, collassi globali. Una storia vecchiotta, in effetti: ogni volta mi tornano in mente i tulipani olandesi.