di Loredana Ferri
di Loredana Ferri – Il treno. 31 dicembre 2013 esattamente tre settimane fa.
È quasi sera, percorro con la mia auto una strada solitaria senza lampioni che taglia di netto la vasta campagna Canavesana. Sui campi spiccano le canne secche e mozzate del granturco, intorno ad essi in lontananza come una ghirlanda di ghiaccio: le Alpi.
Sopra le cime innevate è rimasta una striscia di cielo bianca luminosissima, mentre una coltre pesante di nuvole grigie scure sembra volerla schiacciare.
Gli unici compagni di viaggio sono i fari della mia auto, il tepore sotto i piedi del riscaldamento e una vecchia canzone alla radio. Ora che è completamente buio e la striscia di cielo è stata definitivamente schiacciata dalle nubi, i piccoli paesi illuminati addossati ai piedi delle montagne, mi appaiono come delle costellazioni. Per un attimo, ho la sensazione di essere sospesa dentro una navicella spaziale.
Poco dopo abbagliata da altre luci, mi ritrovo alla stazione di Torino. Un amico carissimo tra un’ora scenderà dal binario due, ed io non vedo l’ora di abbracciarlo, tra l’altro non sa che io sono qui’ ad aspettarlo, dunque gli farò una sorpresa. Quando entro dentro una stazione mi percorre sempre un brivido di emozione lungo la schiena, sarà per via della terra che ti trema sotto i piedi quando i treni partono, la confusione di gente che la popola come fosse impazzita, riuscendo a percepire le emozioni di ogni singolo viaggiatore che mi passa accanto. Ad esempio ora mi è passato vicino un signore che chiede informazioni su gli orari a ogni capo stazione che incontra, anche se il tabellone degli orari è sopra la sua testa.
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