Continua il dibattito tra pro-life e pro-choice, dopo le recenti acquisizioni dell’embriologia. Segnalo a proposito un interessante contributo sul sito http://www.uccronline.it in cui si legge:
Il movimento abortista è in una fase di profonda difficoltà, lo ha chiarito recentemente anche il settimanale inglese Time. Il 2012 è stato l’anno con ilmaggior numero di leggi restrittive in tema di aborto, motivo fondamentale è proprio il progresso scientifico –come dimostra una recentesentenza della Corte Suprema dell’Alabama-, grazie al quale più nessunopuò ingannare le donne dicendo loro che quel che portano nel grembo è soltanto un grumo di cellule. Ed ecco quindi che la strategia si modifica edalle colonne progressiste di Salon la scrittrice Mary Elizabeth Williams se ne esce con questa provocazione: “Che importa se l’aborto termina una vita umana?”
Ha spiegato infatti: «Mentre gli oppositori dell’aborto si definiscono con entusiasmo “pro-vita”, il resto di noi ha dovuto arrampicarsi in giro con parole come “scelta” e “libertà riproduttiva”. Eppure per tutta la mia gravidanza non ho mai avuto un dubbio che stavo portando una vita umana dentro di me. Io credo che è quello che un feto è: una vita umana. E questo non mi fa essere, nemmeno di una virgola, una meno solida pro-choice». Ha quindi continuato: «Un feto può essere una vita umana senza avere gli stessi diritti della donna nel cui corpo si trova. Lei è il capo. La sua salute dovrebbe automaticamente prevalere sui diritti dell’entità non-autonoma dentro di lei. Sempre».
Continua a leggere qui http://www.uccronline.it/2013/02/09/che-importa-se-laborto-termina-una-vita-umana/
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