Se mi lasci ti cancello. Dalla tua vita, dal tuo futuro, dalle persone che ti vogliono bene. In Italia, troppe volte, le donne muoiono così. Cancellate dagli uomini che pretendevano d’amarle. Come se si potesse coniugare il verbo amare al singolare, senza rispetto per l’amata. Settanta volte su cento, quando la vittima di un omicidio è donna, alla mano che uccide corrisponde la faccia di un uomo conosciuto: un familiare, un partner, un ex che ha confuso l’amore e il possesso. Muoiono come Carmela, che si è messa in mezzo per difendere sua sorella Lucia dalla furia di Samuele. Come Melania, come le oltre cento che dall’inizio dell’anno ne hanno condiviso la malasorte.
In questi casi alcuni esperti sostengono che sia più preciso parlare di “femminicidio”. Provare a spiegarne l’assurdità è dipanare un groviglio di eredità culturali, ma sarebbe meglio dire anticulturali, che toccano un modo arcaico, e ìmpari, di concepire i rapporti tra uomini e donne: un modo che resiste alla civiltà che fa progressi. I giovani maschi che oggi si armano, maltrattano, aggrediscono perché non accettano un rifiuto o nella convinzione di essere stati traditi, nulla sanno dei «delitti a causa di onore » contemplati dal Codice penale fino al 1981, che attenuavano la pena per chi uccideva credendo di salvare l’onore proprio o della famiglia. Non erano nati o quasi. Eppure agiscono come se quell’idea distorta di onore, evidentemente respirata vivendo, li legittimasse ancora.
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