I tragici fatti di Tolosa ci costringono a pensare nuovamente alla ferocia antisemita.
Erri De Luca ha scritto un pezzo per Avvenire
Nell’aprile del ’93 si celebrò a Varsavia una ricorrenza: cinquanta anni trascorsi dalla rivolta del ghetto ebraico
contro le truppe tedesche. La Polonia fu occupata dalla Germania nel ’39 e lasciata solo nel ’45 sotto l’avanzata dell’esercito russo. La Polonia ha il record di durata dell’oppressione tedesca, tra le nazioni europee della seconda guerra mondiale, e il record dei più efficienti campi di annientamento (Vernichtungs-lager). Sul suo territorio i tedeschi costruirono Auschwitz-Birkenau presso Cracovia, Treblinka presso Varsavia, poi Belzec, Sobibor e altri ancora.
Nella primavera del ’43 il ghetto di Varsavia è quasi svuotato. Tre quarti dei quattrocentomila ebrei stipati nel perimetro sono già stati bruciati a Treblinka. Resta uno stremato rimasuglio e proprio quello organizza una rivolta armata, la prima in una città occupata dai tedeschi. Nei giorni della Pasqua ebraica, aprile ’43, le truppe naziste entravano in forze per distruggere ghetto e resistenza. Ci riuscirono solo un mese dopo. Il comandante dell’insurrezione, il ventenne Mordecai Anielewicz, si suicidò al termine dei combattimenti.
Nell’aprile di cinquanta anni dopo andai a Varsavia. Conoscevo la storia della distruzione degli ebrei d’Europa. Era stata contemporanea della giovinezza dei miei genitori. La dannazione di quella guerra aveva perseguitato la loro età nel tempo in cui si deve costruire il futuro, costringendoli invece a lottare per non farsi cancellare, per vivere un giorno di più della guerra, durare un giorno in più per rivedere la pace.
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