Vittorio Emanuele Parsi, su Avvenire, ci aiuta a capire la scena internazionale del pianeta all’inizio del 2012
È la discontinuità la grande incognita per questo 2012 che va ad incominciare. La discontinuità innanzitutto rispetto a una crisi finanziaria ed economica che, in forme diverse, dura ormai da quattro anni. Si gioca in gran parte su questo, sulla possibilità che finalmente si inverta il trend economico negativo il nostro futuro prossimo venturo. In almeno due dei grandi appuntamenti elettorali previsti – le presidenziali americane e quelle francesi – la crisi giocherà infatti un ruolo decisivo. Le chance di Barack Obama e Nicholas Sarkozy di continuare a risiedere per un altro mandato alla Casa Bianca e all’Eliseo dipenderanno in gran parte dalla congiuntura economica. Più a rischio la rielezione del marito di Carlà: sia perché in Francia si vota in aprile (mentre in America a novembre) sia perché il suo sfidante principale, il socialista Hollande, appare un candidato in grado di impensierire seriamente il presidente uscente. Negli Stati Uniti, almeno per ora, sono i repubblicani i migliori alleati di Obama, per la loro incapacità di individuare un ‘campione’ credibile per la loro causa. Ma al di là delle tornate elettorali, il 2012 sarà l’anno in cui sapremo se il progetto europeo sarà sopravissuto, rinforzandosi, alla più grave crisi strutturale mai registrata dal suo stesso varo.
In questo senso, un cambiamento di leadership politica nei due Paesi più importanti dell’Unione potrebbe essere persino positivo, considerate le performance non certo brillanti realizzate dalla coppia Merkel-Sarkozy.
A marzo si voterà anche in Russia, per eleggere il presidente della Federazione. Se la vittoria di Putin continua a essere data per scontata, molto meno certa è l’entità del sostegno che riuscirà effettivamente a mobilitare. Le ultime elezioni politiche, con brogli in stile iraniano (ricordate la contestatissima ‘vittoria’ di Ahmadinejad nel 2009?), hanno reso ormai evidente l’obsolescenza del regime instaurato da Vladimir Putin: un regime funzionale a portare il Paese fuori dall’era eltsiniana, ancora dominata dal trauma della sconfitta nella Guerra Fredda e dalla fine dell’Urss, ma probabilmente non più adatto a guidare la nuova Russia che lui stesso ha contributo ad edificare.
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