Sembrava che assistessero a un funerale o alla tappa di una dolorosa via crucis. Parole di compassione e rammarico, invocazioni alla Madonna, preoccupazione per il pane e il lavoro elargiti dal boss. Tanti benefici che venivano rinfacciati, con le consuete lamentazioni, allo Stato assente.
Ma non c’è analisi sociologica, non privazione di elementari diritti, non sedimentati rancori che possano giustificare una così abnorme solidarietà per un delinquente abbietto. Sembravano tutti trascurare che su Zagaria pendeva una condanna a tre ergastoli, che quel pane e quel lavoro, non ben definito, comportavano il prezzo del sangue. Stupiva l’assenza di vergogna, l’incapacità di ribellarsi, almeno nell’intimo, a imposizioni o umilianti concessioni, rendendosi di fatto complici di atti criminosi. È questa complicità che lascia sbigottiti, ben più radicata che la paura: perché in tanti anni, non c’è stata nemmeno una lettera anonima che mettesse gli investigatori sulla pista buona.
Il parroco di Casapesenna ha definito Zagaria «un parrocchiano come gli altri ai quali portare il Vangelo».
Così Lorenzo Mondo, su La Stampa, commenta l’arresto del boss della camorra. Qui l’articolo completo: gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9538
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