Libia, voci dall’inferno… ma la speranza fa vivere


Bruna è una suora francescana che vive, o meglio viveva in Libia. Ha scritto ad alcuni amici. Ecco le sue parole:

eccomi a voi con un briciolo di calma: sono dunque a Tunisi, arrivata qualche giorno fa per un mese circa, con la speranza di poter tornare “a casa” cioè a Yefren che abbiamo dovuto lasciare il 19/04 quando sono arrivati i militari. Yefren infatti si trova nella zona degli insorti… Abbiamo poi passato questi tre mesi a Tripoli ospiti delle nostre consorelle, aspettando il giorno del ritorno lassù. Chissà quando sarà!
Per il momento non vediamo come finiranno le “cose” ma speriamo che non si prolunghino troppo: la gente è stanca! a parte le sofferenze per i morti che non si contano… e tante privazioni, si vive di speranza: è una virtù che Dio ha messo nel cuore dell’uomo per dargli sempre il coraggio di vivere…
Vi aggiungo un piccolo testo che vi puo’ dare qualche idea “locale” per noi importante quanto “la guerra”.
Continuate a pregare perchè la pace venga con la libertà …

Qualche notizia dalla Libia – 4 luglio 2011

Quello che stiamo vivendo in Libia in questi mesi è un dramma fatto di guerra, violenza, lutti, sofferenze, privazioni, evacuazioni, fughe, paure, incertezze per il domani … Come si può continuare a vivere? Molti sono partiti, stranieri o cittadini libici, chi sperando di tornare e chi sapendo che non c’era più una prospettiva di lavoro o di guadagno; molti hanno lasciato le loro case, i loro villaggi sperando di trovare un luogo più sicuro, al riparo da armi, bombe o altri pericoli. I parenti, gli amici, i paesi limitrofi, hanno offerto alloggio e riparo; molte organizzazioni internazionali hanno offerto aiuto e appoggio; una catena di solidarietà è in atto un po’ dovunque …
Noi siamo qui, viviamo con la gente, cerchiamo di essere solidali, ascoltiamo, osserviamo, condividendo il peggio e il meglio di quello che la situazione attuale suscita o provoca … E in mezzo a tanta disperazione abbiamo raccolto anche tanti segni di solidarietà e di speranza che vogliamo condividere un poco con voi.
Quando quasi tutti partivano,  la prima reazione  di amici o conoscenti era questa: Come mai siete ancora qui? Perchè non siete partite? Ed erano contenti di trovarci con loro … All’inizio degli avvenimenti, inattesi da tutti quanti, ci sono stati sorpresa e panico: bisognava abituarsi a far fronte alla situazione. Allora abbiamo sperimentato l’attenzione e la vigilanza dei nostri vicini; abbiamo sentito che facevamo parte della famiglia, del quartiere, venivano a vedere se abbiamo bisogno di qualcosa, ci portavano il pane anche più volte al giorno, ci davano numeri di telefono per poter chiamare in caso di necessità. Quando abbiamo domandato come potevamo ricompensare il loro aiuto ci hanno risposto: la preghiera e basta! E quante telefonate per darci informazioni, dirci di non aver paura, farci sentire che non siamo sole …
Il giorno in cui, da Yefren, sono partite tutte le famiglie, ci hanno invitate a partire con loro: c’era posto nelle loro macchine! La direzione dell’ospedale preferiva che restassimo: ci hanno messo a disposizione un prefabbricato nel recinto dell’ospedale; e quando non è più stato possibile rimanere abbiamo visto la tristezza sui volti dei quattro malati che dovevamo lasciare … Abbiamo lasciato la nostra casa in fretta ma dei giovani, nostri vicini, ci hanno promesso che veglieranno sulla nostra come sulla loro … (Notizie telefoniche ci rassicurano: la nostra casa non è stata “toccata”!)
A Tripoli, la catena di solidarietà continua: una vicina si arrangia per recuperare la benzina che rimane nel serbatoio della macchina del figlio, quando lui ha la possibilità di fare il pieno: pochi litri certo, al contagoccie, ma dono prezioso quando si pensa alle code che durano giorni per averne! E spesso si insiste per sapere se abbiamo bisogno di qualche cosa …
Piano piano, i nostri amici cominciano a confidarsi, a esprimere attese, paure, speranze, opinioni … noi dobbiamo essere prudenti, vigilanti, ma ascoltiamo: la gente ha bisogno di chi ascolta la loro sofferenza con simpatia! Cerchiamo di condividere anche qualche gioia, i matrimoni per esempio perchè la vita continua. Certo, nelle feste non c’è l’atmosfera abituale: si canta e si danza solo un pochino, la festa finisce presto (non si può star fuori di notte!). “Sono venuta per solidarietà con i vicini – ci dice una ragazza – ma non posso danzare, per solidarietà con quelli che sono morti o che li piangono!”
Molti ci chiedono di pregare perchè venga la pace, la gente è stanca ed ora è anche preoccupata perchè il Ramadan sta arrivando: come si potrà viverlo se la situazione non cambia? Nella nostra chiesa troviamo ancora parecchi “stranieri” che non sono partiti: sono soprattutto Filippini o Indiani che lavorano negli ospedali o Africani di diversi paesi (gli immigrati che non sono salpati altrove) insieme con qualche donna cristiana, sposata con un libico: saranno il “seme” di una nuova comunità cristiana che si prepara, “ospite” certo ma viva!  La speranza fa vivere tutti…


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