di Alessandro D’Avenia
Contemplare le bellezze e i pregi di un figliuolo proprio, non con altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui”. Così scriveva nel febbraio del 1828 Giacomo Leopardi riguardo ai suoi versi, per lo più disprezzati dai suoi contemporanei. Sapeva che quei versi avrebbero avrebbero reso il mondo meno immondo, più bello, indipendentemente dal successo pubblico che, in vita, quasi non arrivò. La sua opera abbellì il mondo, e resta (a differenza delle critiche dei suoi detrattori).
Il cristianesimo, accusato da molti di basare la sua speranza nel futuro, dimenticando l’impegno nel presente, è esattamente il contrario: è la vita di un Dio fatto uomo, che dà tale consistenza al presente e quindi al passato da farne dipendere il futuro. La garanzia che Dio offre all’uomo è che le sue (dell’uomo) opere lo accompagneranno, ciò che l’uomo porrà nel mondo sarà ciò che non gli sarà tolto, la sua eredità. Il contrario di una fuga consolante nel futuro.
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